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Questo è un sito molto completo e dettagliato, con parafrasi letterale verso per verso, e anche narrativa completa in prosa che non omette nessun
dettaglio. Ci sono anche svariati commenti.
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Manoscritto XIV secolo
Questo è un pdf file (226MB) di un manoscritto del 14mo secolo fatto da un amico e ammiratore di Dante.
Numerologia
Questo è più che altro per curiosità, non l'ho usato granché.
Princeton Dante project
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Società Dantesca Italiana
Questo ancora non l'ho esplorato granché ma è senz'altro notevole per i links a svariati manoscritti. È qui che ho trovato il manoscritto del 14mo secolo
attribuito a Menghino Mezzani.
La Divina Commedia in HD
Questo sito è utile per le belle immagini e per la versione in prosa dei canti che facilita la comprensione del testo. Il sito è molto eterogeneo con contributi anche non specifici alla Divina Commedia.
Ora sen va per un secreto calle, tra ’l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle.
«O virtù somma, che per li empi giri mi volvi», cominciai, «com’ a te piace, parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati tutt’ i coperchi, e nessun guardia face».
E quelli a me: «Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là sù hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci, che l’anima col corpo morta fanno.
Però a la dimanda che mi faci quinc’ entro satisfatto sarà tosto, e al disio ancor che tu mi taci».
E io: «Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco, e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».
Dante non lascia facilmente a nessuno l'ultima parola, ed è sempre pronto a ribattere.
Finora, l'unica occasione in cui era rimasto silenzioso dopo un velato rimprovero è stato
in III, 76-81. Ma sembra che qui se lo ricordi e si prenda una rivincita, perché questa volta Virgilio gli rimprovera di
non dirgli tutto, e lui gli fa notare che in altra occasione lo aveva rimproverato di parlare troppo.
«O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patrïa natio, a la qual forse fui troppo molesto».
Subitamente questo suono uscìo d’una de l’arche; però m’accostai, temendo, un poco più al duca mio.
Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s’è dritto: da la cintola in sù tutto ’l vedrai».
Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s’ergea col petto e con la fronte com’ avesse l’inferno a gran dispitto.
E l’animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui, dicendo: «Le parole tue sien conte».
Il personggio di Farinata degli Uberti è presentato con una grande dose di rispetto. Perfino Virgilio
sembra preoccuparsi che Dante non faccia "brutta fugura" davanti a tale personaggio e gli raccomanda di stare attento a quello che dice.
I versi "ed el s’ergea col petto e con la fronte, com’ avesse l’inferno a gran dispitto" sono magistrali per dipingere il personaggio
(infatti questa è una delle scene illustrate
da Dorè)
Com’ io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».
Io ch’era d’ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi; ond’ ei levò le ciglia un poco in suso;
poi disse: «Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte, sì che per due fïate li dispersi».
«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte», rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata; ma i vostri non appreser ben quell’ arte». Altro esempio di una ben pronta risposta da parte di Dante. Trovo interessante l'uso del "voi" qui invece del "tu".
Dante usa "tu" con Virgilio, e più tardi con la Madonna, senz'altro personaggi a cui deve massimo rispetto. Il "tu" è usato
da Virgilio con i vari demoni infernali (Caronte, Minosse, Pluto, etc.), e da Dante con i peccatori come Francesca nel Canto V e Ciacco nel Canto VI, e poi nel Canto VIII con Filippo Argenti, a cui
dice con grande disprezzo
"con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani; ch' i' ti conosco...".
Ma qui Dante usa "voi" sia con Farinata che con il padre di Guido Cavalcanti. Nel Canto XV userà "voi" anche con il suo maestro Brunetto Latini.
Insomma sembra che "tu" sia riservato o per supremo rispetto, o per nessun rispetto, e invece "voi" è usato per osservare il divario
generazionale (il padre del suo amico Guido, il suo maestro, e Farinata che era della stessa generazione dei suoi genitori).
Allor surse a la vista scoperchiata un’ombra, lungo questa, infino al mento: credo che s’era in ginocchie levata.
Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s’altri era meco; e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
piangendo disse: «Se per questo cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».
E io a lui: «Da me stesso non vegno: colui ch’attende là, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».
Le sue parole e ’l modo de la pena m’avean di costui già letto il nome; però fu la risposta così piena.
Di sùbito drizzato gridò: «Come? dicesti “elli ebbe”? non viv’ elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».
Quando s’accorse d’alcuna dimora ch’io facëa dinanzi a la risposta, supin ricadde e più non parve fora.
Ma quell’ altro magnanimo, a cui posta restato m’era, non mutò aspetto, né mosse collo, né piegò sua costa;
e sé continüando al primo detto, «S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell’ arte pesa.
E se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi: perché quel popolo è sì empio incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?».
Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio».
Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso, «A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo sanza cagion con li altri sarei mosso.
Ma fu’ io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto».
«Deh, se riposi mai vostra semenza», prega’ io lui, «solvetemi quel nodo che qui ha ’nviluppata mia sentenza.
El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che ’l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo».
«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, le cose», disse, «che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce.
Quando s’appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta».
Notevole concettualizzazione del tempo. Finisce al Giudizio Universale, quindi coloro che potevano solo vedere
il futuro non potranno più vedere niente. Certo ci sarebbero un po' di dettagli da discutere, per esempio, se Farinata non può sapere
niente del presente, come fa a sapere che l'esilio di Dante avverrà fra 50 mesi?
Come minimo allora deve sapere che data è...
Allor, come di mia colpa compunto, dissi: «Or direte dunque a quel caduto che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;
e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto, fate i saper che ’l fei perché pensava già ne l’error che m’avete soluto».
Questa è un'altra intricata elucubrazione che mi ricorda un po' quella di IX, 1-15, del tipo, lui pensava che io pensassi
che lui pensava...Quello che trovo notevole è come riesce a descrivere la complicata situazione con un paio di endecasillabi...
E già ’l maestro mio mi richiamava; per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio che mi dicesse chi con lu’ istava.
Dissemi: «Qui con più di mille giaccio: qua dentro è ’l secondo Federico e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».
Indi s’ascose; e io inver’ l’antico poeta volsi i passi, ripensando a quel parlar che mi parea nemico.
Elli si mosse; e poi, così andando, mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?». E io li sodisfeci al suo dimando.
«La mente tua conservi quel ch’udito hai contra te», mi comandò quel saggio; «e ora attendi qui», e drizzò ’l dito:
«quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella il cui bell’ occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il vïaggio».
Appresso mosse a man sinistra il piede: lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo per un sentier ch’a una valle fiede,
che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
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