La Divina Commedia



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Mappa dell'inferno Dantesco
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Dante per tutte le occasioni

Inferno

Canto XXXIV

Vittorio Gassman legge Dante


«Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; però dinanzi mira»,
disse ’l maestro mio, «se tu ’l discerni».

Come quando una grossa nebbia spira,
o quando l’emisperio nostro annotta,
par di lungi un molin che ’l vento gira,

veder mi parve un tal dificio allotta;
poi per lo vento mi ristrinsi retro
al duca mio, ché non lì era altra grotta.

Già era, e con paura il metto in metro,
là dove l’ombre tutte eran coperte,
e trasparien come festuca in vetro.

Altre sono a giacere; altre stanno erte,
quella col capo e quella con le piante;
altra, com’ arco, il volto a’ piè rinverte. Notare il preciso elenco delle più basilari forme geometriche: dopo la posizione orizzontale, per la quale l'orientamento non è significativo, viene quella verticale, per la quale c'è senz'altro una differenza in orientamento (stare a testa in giù non è certo lo stesso che stare dritti), e poi avendo esaurito l'analogia con i segmenti rettilinei, la forma più semplice è quella di un arco...


Quando noi fummo fatti tanto avante,
ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
la creatura ch’ebbe il bel sembiante,

d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi».

Com’ io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogne parlar sarebbe poco.

Io non mori’ e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo.

Lo ’mperador del doloroso regno
da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno,

che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant’ esser dee quel tutto Secondo me a Dante piaceva la matematica...ecco un bel problema per gli studenti, di cui esplicitamente chiede la soluzione in questo verso: quanto era alto Lucifero? Diciamo che \(D\) è l'altezza di Dante, \(G\) l'altezza di un gigante, e \(B\) la lunghezza del braccio di Lucifero, che possiamo assumere sia circa il \(40\%\) delle sua altezza (come negli esseri umani). Sappiamo pure dal Canto XXXI che un gigante è alto circa 9 metri. Nei versi precedenti Dante dice \(\frac{D}{G}\gt \frac{G}{B}\), e assumendo che Dante fosse alto 1.7 metri, si risolve trovando che Lucifero è alto più di \(\frac{9^2}{(1.7)(0.4)}\), o 119 metri. Notare fra l'altro che dire "più" al verso 30 risulta appunto in una stima che risulti in un limite inferiore all'altezza di Lucifero, cosa non immediatemente apparente senza scrivere la disuguaglianza che ne risulta.

ch’a così fatta parte si confaccia.

S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto.

Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand’ io vidi tre facce a la sua testa!
L’una dinanzi, e quella era vermiglia;

l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa
sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta:

e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla.

Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid’ io mai cotali.

Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello:

quindi Cocito tutto s’aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.

Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti.

A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.

«Quell’ anima là sù c’ha maggior pena»,
disse ’l maestro, «è Giuda Scarïotto,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.

De li altri due c’hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!;

e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem veduto».

Com’ a lui piacque, il collo li avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco poste,
e quando l’ali fuoro aperte assai,

appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giù discese poscia
tra ’l folto pelo e le gelate croste.

Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
lo duca, con fatica e con angoscia,

volse la testa ov’ elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’ om che sale,
sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.

«Attienti ben, ché per cotali scale»,
disse ’l maestro, ansando com’ uom lasso,
«conviensi dipartir da tanto male».

Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso
e puose me in su l’orlo a sedere;
appresso porse a me l’accorto passo.

Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com’ io l’avea lasciato,
e vidili le gambe in sù tenere;

e s’io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto ch’io avea passato.

«Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
e già il sole a mezza terza riede».

Non era camminata di palagio
là ’v’ eravam, ma natural burella
ch’avea mal suolo e di lume disagio.

«Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio», diss’ io quando fui dritto,
«a trarmi d’erro un poco mi favella:

ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora,
da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».

Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’ io mi presi
al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.

Di là fosti cotanto quant’ io scesi;
quand’ io mi volsi, tu passasti ’l punto
al qual si traggon d’ogne parte i pesi. Trovo molto notevole che Dante ha scritto questo 366 anni prima che Newton enunciasse la legge di gravità.


E se’ or sotto l’emisperio giunto
ch’è contraposto a quel che la gran secca
coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto

fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
tu haï i piedi in su picciola spera
che l’altra faccia fa de la Giudecca.

Qui è da man, quando di là è sera;
e questi, che ne fé scala col pelo,
fitto è ancora sì come prim’ era.

Da questa parte cadde giù dal cielo;
e la terra, che pria di qua si sporse,
per paura di lui fé del mar velo,

e venne a l’emisperio nostro; e forse
per fuggir lui lasciò qui loco vòto
quella ch’appar di qua, e sù ricorse». Mi sembra che Dante qui voglia dire che non solo la terra emersa dell'emisfero meridionale è fuggita all'emisfero settentrionale per paura di Lucifero (che era caduto a testa in giù nell'emisfero meridionale), ma anche la materia venuta in contatto con lui all'interno della terra si è ritirata, lasciando la voragine dell'inferno dove si sporge la testa di Lucifero al fondo, ed è andata a formare la montagna del Purgatorio nell'emisfero meridionale.


Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono è noto

d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
col corso ch’elli avvolge, e poco pende.

Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,

salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.


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