weebly
Questo è un sito molto completo e dettagliato, con parafrasi letterale verso per verso, e anche narrativa completa in prosa che non omette nessun
dettaglio. Ci sono anche svariati commenti.
Mediasoft
Questo sito è quello meglio organizzato da un punto di vista di navigazione,
con i versi numerati e note cliccabili. È quello che uso come riferimento principale.
Manoscritto XIV secolo
Questo è un pdf file (226MB) di un manoscritto del 14mo secolo fatto da un amico e ammiratore di Dante.
Numerologia
Questo è più che altro per curiosità, non l'ho usato granché.
Princeton Dante project
Questo sito è una miniera di risorse, pieno di commenti e fonti storiche attraverso i secoli.
Società Dantesca Italiana
Questo ancora non l'ho esplorato granché ma è senz'altro notevole per i links a svariati manoscritti. È qui che ho trovato il manoscritto del 14mo secolo
attribuito a Menghino Mezzani.
La Divina Commedia in HD
Questo sito è utile per le belle immagini e per la versione in prosa dei canti che facilita la comprensione del testo. Il sito è molto eterogeneo con contributi anche non specifici alla Divina Commedia.
Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia e tanto più dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia.
Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Le tre terzine 4-12 sono proprio fatte bene. Nella prima fa un riassunto essenziale della scena. Poi nella seconda e terza,
spiega i dettagli, cominciando con "Dico...". Minòs è un demonio con una lunga coda che sta all'ingresso del secondo girone, che è un po' come un centro di smistamento. Quando arrivano le anime davanti a Minòs, gli confessano i loro peccati e lui, che se ne intende bene, decide in che girone
devono andare. Allora avvinghia la sua coda intorno al suo corpo per lo stesso numero di volte che il numero del girone in cui devono andare. Questa è
la scena. Ma Dante la dice parecchio meglio...
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: vanno a vicenda ciascuna al giudizio, dicono e odono e poi son giù volte.
«O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio,
«guarda com’ entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».
Come Caronte nel Canto III, Minòs sembra essere premuroso verso Dante e preoccuparsi per lui. A meno che si
interpreti come un tentativo di sviarlo dalla strada della salvezza dopo tutto. In ogni caso in questo incontro, dopo l'intervento di Virgilio,
Dante non fa menzione della reazione di Minòs. Questo a differenza dell'incontro con Caronte nel Canto III, con Cerbero nel Canto VI, con Pluto nel canto VII, con Flegiàs nel Canto VIII, e con il Minotauro nel Canto XII, dove in ogni caso Dante descrive ad effetto la sconfitta reazione dei vari demoni dopo l'intervento di Virgilio.
E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».
Ennesimo esempio che chatGPT "is an idiot", come altri hanno detto. Gli ho chiesto se nella Divina Commedia ci sia un verso
ripetuto, e ha detto di no. Ma eccone due ripetuti: V 23-24 sono identici a III 95-96.
Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina,
È un po' difficile capire che vuol dire 'davanti alla ruina', ma secondo vari commentatori si tratterebbe
del punto in cui una impetuosa corrente di acqua (o di aria) si immette in un ambiente e quindi crea in quel punto vortici particolarmente forti.
Certo che in questo canto, e anche nel canto seguente, le anime sono raffigurate proprio come spiriti evanescenti e privi di corpo. A ben differenza,
Virgilio, nonostante anche lui una "ombra", ha viso che cambia colore (IV 14), mani che afferrano la terra (VI 26) e che spingono via i dannati (VIII 41 ) e sospingono Dante
quando necessario (X 38), occhi e ciglia che tiene abbassate (VIII 118).
quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’ io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga; per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l’aura nera sì gastiga?».
«La prima di color di cui novelle tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell’ è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che ’l Soldan corregge.
L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussurïosa.
Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch’amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I’ cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov’ è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettüoso grido.
«O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’ io intesi quell’ anime offense, china’ il viso, e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangëa; sì che di pietade io venni men così com’ io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Il verso finale richiama il verso finale del canto 3, con la differenza che nel terzo canto cade come addormentato e qui cade come svenuto o morto, forse a sottolineare il contesto drammatico e l'uccisione dei personaggi che aveva appena visto.
Usa lo spazio qui sotto per lasciare commenti ai versi di Dante. La mia intenzione è di incoraggiare la lettura di Dante e la formulazione di commenti e osservazioni
che ti vengono in mente
leggendolo. Senz'altro mi interessano anche commenti in genere, in risposta alle mie note, o al website in genere. Nel lasciare commenti, suggerisco di citare il numero del verso (o versi) su cui si vuole commentare.