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Questo è un sito molto completo e dettagliato, con parafrasi letterale verso per verso, e anche narrativa completa in prosa che non omette nessun
dettaglio. Ci sono anche svariati commenti.
Mediasoft
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con i versi numerati e note cliccabili. È quello che uso come riferimento principale.
Manoscritto XIV secolo
Questo è un pdf file (226MB) di un manoscritto del 14mo secolo fatto da un amico e ammiratore di Dante.
Numerologia
Questo è più che altro per curiosità, non l'ho usato granché.
Princeton Dante project
Questo sito è una miniera di risorse, pieno di commenti e fonti storiche attraverso i secoli.
Società Dantesca Italiana
Questo ancora non l'ho esplorato granché ma è senz'altro notevole per i links a svariati manoscritti. È qui che ho trovato il manoscritto del 14mo secolo
attribuito a Menghino Mezzani.
La Divina Commedia in HD
Questo sito è utile per le belle immagini e per la versione in prosa dei canti che facilita la comprensione del testo. Il sito è molto eterogeneo con contributi anche non specifici alla Divina Commedia.
Ora cen porta l’un de’ duri margini; e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia, sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
I versi 1 e 3 di questo canto hanno 12 sillabe invece di 11. È un raro esempio
di "versi sdruccioli", di cui ce ne sono solo cinque in tutta la Divina Commedia,
secondo questa nota, trovata nella sezione DDP (nota 37) di
Princeton Dante Project:
The Rev. H.F. Tozer (1901), Inferno 15.1
margini. This line and l. 3 which rhymes with it are two of the very few twelve-syllable lines that are found in the poem. The excuse for this metrical irregularity is the weakness of the last two syllables, which are unaccented, and belong to the inflexional part of the word. The exceptional use is more marked here and in Inf. xxviii. 80, Cattolica, than in the remaining four instances, viz. Inf. xxiii. 32, scendere; xxiv. 62, malagevole; Par. xxvi. 125, inconsumabile; xxviii. 125, girano, because in these latter the final vowel is one which could be omitted in the middle of a line.
Vedi anche, dalla stessa fonte, la nota 39:
C.H. Grandgent (1909-13), Inferno 15.1
Margini and argini form a trisyllabic or dactyllic rime, and the two verses really have twelve syllables each. Such lines are called versi sdrúccioli; Dante occasionally substitutes them for the ordinary versi piani. Cf. IV, 56.
e la nota 55:
Charles S. Singleton (1970-75), Inferno 15.1
1, 3. Ora cen porta...sì che dal foco...: These two verses constitute what are called, in Italian prosody, versi sdruccioli. That is, they end in words accented on the antepenult (àrgini, màrgini) and have one more syllable than normal (in this case, twelve instead of eleven).
Questo manoscritto del 1363 attributo a Menghino Mezzani (contemporaneo, amico ed ammiratore di Dante) mostra una versione del verso 1 con 11 sillabe,
mentre il verso 3 sembra incorretto. Ma non ho trovato nessun accenno alla possibilità che i versi fossero
in realtà endecasillabi, cosa dopo tutto pensabile considerato che non esiste un manoscritto di mano di Dante.
Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa, fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia;
e quali Padoan lungo la Brenta, per difender lor ville e lor castelli, anzi che Carentana il caldo senta:
a tale imagine eran fatti quelli, tutto che né sì alti né sì grossi, qual che si fosse, lo maestro félli.
Già eravam da la selva rimossi tanto, ch’i’ non avrei visto dov’ era, perch’ io in dietro rivolto mi fossi,
quando incontrammo d’anime una schiera che venian lungo l’argine, e ciascuna ci riguardava come suol da sera
guardare uno altro sotto nuova luna; e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia come ’l vecchio sartor fa ne la cruna.
Così adocchiato da cotal famiglia, fui conosciuto da un, che mi prese per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
E io, quando ’l suo braccio a me distese, ficcaï li occhi per lo cotto aspetto, sì che ’l viso abbrusciato non difese
la conoscenza süa al mio ’ntelletto; e chinando la mano a la sua faccia, rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?».
E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia se Brunetto Latino un poco teco ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia».
I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco; e se volete che con voi m’asseggia, faròl, se piace a costui che vo seco».
«O figliuol», disse, «qual di questa greggia s’arresta punto, giace poi cent’ anni sanz’ arrostarsi quando ’l foco il feggia.
Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni; e poi rigiugnerò la mia masnada, che va piangendo i suoi etterni danni».
Io non osava scender de la strada per andar par di lui; ma ’l capo chino tenea com’ uom che reverente vada.
El cominciò: «Qual fortuna o destino anzi l’ultimo dì qua giù ti mena? e chi è questi che mostra ’l cammino?».
«Là sù di sopra, in la vita serena», rispuos’ io lui, «mi smarri’ in una valle, avanti che l’età mia fosse piena.
Pur ier mattina le volsi le spalle: questi m’apparve, tornand’ ïo in quella, e reducemi a ca per questo calle».
Ed elli a me: «Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorïoso porto, se ben m’accorsi ne la vita bella;
e s’io non fossi sì per tempo morto, veggendo il cielo a te così benigno, dato t’avrei a l’opera conforto.
Ma quello ingrato popolo maligno che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno,
ti si farà, per tuo ben far, nimico; ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico.
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent’ è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi.
La tua fortuna tanto onor ti serba, che l’una parte e l’altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
Faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tocchin la pianta, s’alcuna surge ancora in lor letame,
in cui riviva la sementa santa di que’ Roman che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta».
«Se fosse tutto pieno il mio dimando», rispuos’ io lui, «voi non sareste ancora de l’umana natura posto in bando;
ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora, la cara e buona imagine paterna di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m’insegnavate come l’uom s’etterna: e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo convien che ne la mia lingua si scerna.
Ciò che narrate di mio corso scrivo, e serbolo a chiosar con altro testo a donna che saprà, s’a lei arrivo.
Tanto vogl’ io che vi sia manifesto, pur che mia coscïenza non mi garra, ch’a la Fortuna, come vuol, son presto.
Non è nuova a li orecchi miei tal arra: però giri Fortuna la sua rota come le piace, e ’l villan la sua marra».
Lo mio maestro allora in su la gota destra si volse in dietro e riguardommi; poi disse: «Bene ascolta chi la nota».
Questo Canto è il primo in cui Virgilio rimane del tutto muto eccetto per questa breve frase, su cui
i commentatori hanno dibattuto per secoli. La principale questione è: si tratta di un elogio o di
un'ammonizione? Vedi la discussione seguente che si trova a Princeton Dante Project
This is Virgil's only utterance in the canto. (Walking ahead of Dante, accompanied by Brunetto, who is moving close to the bank, along the sand, Virgil is not 'in the frame' for most of the scene.) How we should read the remark is no longer as clear as it once seemed. Is it congratulatory or monitory? All the early commentators who deal with it think it is the latter, i.e., Dante has just said a true thing (vv. 91-96), but something difficult to live up to. And that seems the most likely reading. However, beginning with Daniello (DDP Daniello.Inf.XV.99), some commentators think it refers to Dante's having remembered Virgil's words with a similar import (Aen. V.710): 'superanda omnis fortuna ferendo est' (all fortune is to be overcome by being borne). Others believe it refers to Dante's having remembered Virgil's utterance at [Inf X 127-132]. Both these readings make Virgil's words congratulatory. Berthier (DDP Berthier.Inf.XV.99) offered a cogent proposal for a return to the reading of the early commentators. In our own day, however, the commentary tradition is various and confused.
Né per tanto di men parlando vommi con ser Brunetto, e dimando chi sono li suoi compagni più noti e più sommi.
Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono; de li altri fia laudabile tacerci, ché ’l tempo saria corto a tanto suono.
In somma sappi che tutti fur cherci e litterati grandi e di gran fama, d’un peccato medesmo al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama, e Francesco d’Accorso anche; e vedervi, s’avessi avuto di tal tigna brama,
colui potei che dal servo de’ servi fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione, dove lasciò li mal protesi nervi.
Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone più lungo esser non può, però ch’i’ veggio là surger nuovo fummo del sabbione.
Gente vien con la quale esser non deggio. Sieti raccomandato il mio Tesoro,
Il manoscritto originale del Tesoretto (o Tesoro) di Brunetto Latini si può osservare nella Biblioteca Nazionale di Russia, con sede a San Pietroburgo (Wikipedia). nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».
Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro
quelli che vince, non colui che perde.
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