La Divina Commedia



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Mappa dell'inferno Dantesco
Mappa del Purgatorio


Dante per tutte le occasioni

Inferno

Canto III

Vittorio Gassman legge Dante

Il Canto si apre con la famosa minacciosa e paurosa iscrizione sopra la porta dell'inferno che finisce con "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate". Dopo aver comunicato a Virgilio la sua paura, Dante viene confortato e incoraggiato da lui. Appena entrati, vengono accolti da "sospiri, pianti e alti guai". Si tratta dell'antinferno, zona dove stanno coloro che vissero senza particolari difetti ma anche senza nessuna virtù ("sanza 'nfamia e sanza lodo"). Insieme a loro, ci sono anche gli angeli che non si ribellarono direttamente a Dio, come fece Lucifero, ma non gli furono neanche fedeli, cioè non presero parte, e rimasero neutri ("per se fuoro"). Questa gente è in continuo e frenetico movimento, proprio per compensare il fatto di essere stati inerti nella vita, e viene tormentata da mosconi e da vespe, anche questo simbolo di meritarsi degli stimoli. Dante dice di riconoscerci parecchie persone, e nomina in particolare "colui che fece per viltade il gran rifiuto", cioè il papa Celestino V che rinunciò al papato. Poi Dante e Virgilio arrivano sulla sponda del fiume Acheronte, dove si radunano le anime che continuamente arrivano per essere traghettate dalla barca del demonio Caronte. Quest'ultimo cerca di ammonire Dante di non mischiarsi agli altri "che son morti", e dicendogli che una sorte migliore lo aspetta. Ma Virgilio rimprovera Caronte e gli dice, in pratica, di farsi i fatti suoi e non interferire con quello che è voluto "colà dove si puote ciò che si vuole". Poi Virgilio spiega a Dante che le anime si dimostrano così pronte ad attraversare il fiume perché sono spronate dalla divina giustizia, che trasforma la loro paura in desiderio. A questo punto c'è un forte tuono accompagnato da un bagliore di luce rossastra e terremoto, che fa perdere i sensi a Dante.

‘Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e ’l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.

Queste parole di colore oscuro
vid’ ïo scritte al sommo d’una porta; La porta d'ingresso dell'inferno è citata di nuovo in VIII 125-127, dove impariamo che è aperta e scardinata in eterno in seguito al tentativo degli angeli caduti di impedire a Gesù Cristo di entrare.
per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro». "parole di colore oscuro..." e poi "il senso lor m'è duro" non vuol dire " parole difficili da capire", perché veramente il significato è del tutto chiaro. Invece vuol dire "parole minacciose e che incutono paura". C'è anche un significato teologico nell'espressione "il senso lor m'è duro", ovvero la contraddizione insita nella necessità che l'amore di Dio si manifesti anche attraverso la giustizia che crea e mantiene l'inferno. È umanamente difficile ovvero duro accettare questa contraddizione che teologicamente fonda la dottrina cristiana (Paolo Dai Prà).

Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta. "persona accorta" vuol dire "persona sensibile", nel senso che Virgilio si è accorto della paura di Dante. E "sospetto" vuol dire "paura".

Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto il ben de l’intelletto».

E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’ io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.

Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai. È interessante paragonare la prima impressione che ha Dante all'entrata dell'antinferno con quella che ha all'ingresso del primo cerchio dell'inferno vero e proprio (IV 25-27). Qui ci sono "sospiri, pianti e alti guai", mentre all'ingresso del primo cerchio "non avea pianto mai che di sospiri". Insomma l'antinferno è decisamente peggio del primo cerchio. Vedi pure la nota a 69.

Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle

facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.

E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».

Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l’anime triste di coloro
che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».

E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve.

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d’ogne posa mi parea indegna;

e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch’i’ non averei creduto
che morte tanta n’avesse disfatta.

Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.

Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d’i cattivi, "cattivi" vuol dire "codardi".
a Dio spiacenti e a’ nemici sui.

Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch’eran ivi.

Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto. C'è da chiedersi in che modo quelli che stanno nell'antinferno non siano in realtà dopo tutto all'inferno. Sembra che l'intenzione di Dante di volere a tutti i costi riservare un posto proprio specialmente ignominioso a quelli che vissero "sanza 'nfamia e sanza lodo" sia andata un po' a scapito della definizione stessa dell'inferno...

E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d’un gran fiume;
per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi

ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com’ i’ discerno per lo fioco lume».

Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d’Acheronte».

Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ’l mio dir li fosse grave, Dante non lascia facilmente nessuno avere l'ultima parola, ed è generalmente ben pronto a ribattere a parole ostili o rimproveri che gli si facciano (vedi VIII, 34-39, X, 49-51). È vero che qui rimane silenzioso al rimprovero abbastanza esplicito di Virgilio di parlare troppo. Ma non se lo dimentica, perché più tardi, (X, 19-21) quando Virgilio gli fa l'opposto rimprovero di tenergli nascosto quello che pensa, gli ricorda questo scambio...
infino al fiume del parlar mi trassi.

Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave!

Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.

E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,

disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti». Caronte sembra preoccuparsi della salvezza di Dante. Lo consiglia di andare via perché essendo ancora vivo, ha ancora la possibilità di evitare l'inferno, a differenza di quelli morti che lo circondano. Il "più lieve legno" si riferisce alla barca dell'Angelo che lo porterà in Purgatorio, quindi gli fa essenzialmente un augurio che la sua sorte sarà migliore. Un simile preoccupato e apparentemente premuroso commento lo farà Minosse all'inizio del Canto V. Insomma questi demoni sono parecchio sensibili e gentili dopo tutto...

E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare». Virgilio rimprovera Caronte con grande fermezza e autorità. Ma deve essere passato pure lui per quella "riva malvagia", come una delle anime trasportate, essendo il Limbo (dove si trova lui) nel primo cerchio dell'inferno, dove li porterà la barca di Caronte. Senz'altro non è nelle intenzioni di Dante accumunare Virgilio con le anime "lasse e nude" (100) che vengono battute col remo da Caronte (111). Chiaramente Dante aveva in mente ben altro trattamento per Virgilio e gli altri "spiriti magni" descritti nel Canto IV.

Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. Questa è la prima descrizione della reazione che hanno i vari demoni all'intervento di Virgilio, chiaramente dotato di superiore potere, e che trovo avvincente. Ci sarà la reazione di Cerbero al Canto VI, di Pluto al Canto VII, di Flegiàs al Canto VIII e del Minotauro al Canto XII. Manca invece la reazione di Minosse al Canto V.

Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ’nteser le parole crude.

Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.

Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.

Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia.

Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,

similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.

Così sen vanno su per l’onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s’auna.

«Figliuol mio», disse ’l maestro cortese,
«quelli che muoion ne l’ira di Dio
tutti convegnon qui d’ogne paese;

e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.

Quinci non passa mai anima buona; Quindi lui non è passato per lì, oppure non considera se stesso un'anima buona? Chissà che intenzione aveva Dante.
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».

Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.

La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;

e caddi come l’uom cui sonno piglia. Confronta nota: V-142.


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Furio
Nota 69: la condizione degli ignavi è tale perché il rifiuto della scelta tra il bene ed il male è visto alla luce della dottrina cristiana come rifiuto della libertà (libera scelta) data all'uomo da Dio. Per cui chi ha scelto il male ed è punito dalla giustizia divina con l'inferno è più rispettoso della volontà di Dio di chi non ha voluto usare il libero arbitrio e per questo non è degno neanche di entrare all'inferno ed esser parte, anche se punito, della giustizia divina. Infatti, Virgilio al verso 51, li tratta con indifferenza, che è l'atteggiamento umano che esclude e disprezza, ben più dell'opposizione o del confronto diretto. Resta comunque da chiedersi perché la scelta di non scegliere non sia considerata dalla dottrina cristiana come un'espressione di libero arbitrio. Chissà se Dante ci spiegherà questo punto nel corso dell'opera.
Furio
Rispetto alla libera scelta, che è il tema di fondo di questo canto dedicato agli ignavi, viene da chiedersi come il concetto di "sotto costrizione" o ("under duress" in inglese) non faccia parte della dottrina cristiana. Forse è un concetto che si è sviluppato più tardi in ambito legale, ma sembra difficile che un approccio moderno al concetto di una libera scelta con conseguenze di tale gravità, possa sfuggire al test della costrizione, che invaliderebbe la libertà reale e effettiva di tale scelta.